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Prossemica: il rapporto con lo spazio.

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MousyMousy
view post Posted on 24/8/2007, 09:26




Prossemica: il rapporto con lo spazio.
Riguarda il rapporto dell’uomo con lo spazio; secondo quanto espresso da E. T. Hall (1968 – “La dimensione nascosta”), essa comprende i concetti di:
1. dimensione psicologica
2. territorio
3. distanza interpersonale

La grandezza psicologica del nostro corpo. La nostra grandezza fisica è nota ed intuitiva, meno ovvio e intuitivo è il concetto di dimensione psicologica della quale occorre essere consapevoli per posizionarci correttamente rispetto agli altri.
Il bambino che indossa abiti o scarpe dei suoi genitori non si sente ridicolo ma grande; da adulto l’uomo continua ad indossare abiti e scarpe che abbiano la stessa funzione che svolgono per il bambino: rimodellare l’immagine complessiva del nostro corpo per conformarlo all’idea che noi abbiamo in mente. La nostra percezione viene modificata e fa si che quando indossiamo un abito o un qualsiasi capo di abbigliamento, questo viene vissuto non come un oggetto estraneo ma come un’estensione del nostro corpo. Un abito in un certo senso rappresenta per noi ciò che è il guscio per una tartaruga. Non è solo una protezione ma una parte dell’organismo stesso.
Quanto detto vale per:
 i vestiti che indossiamo
 il modo in cui ci muoviamo nello spazio
 il vigore e l’ampiezza delle nostre gesticolazioni
 ecc
Se vogliamo sentirci più grossi potremmo indossare abiti larghi, con spalline e imbottiture; questo cambiamento di immagine non ha effetto solo su di noi ma anche su chi ci guarda e, sorprendentemente, anche se siamo a conoscenza del “trucco” questo continua, seppure in modo mitigato, a fare effetto su di noi.
Stesso principio per i colori dell’abbigliamento; a parte il dato ormai noto che il nero smagrisce e il bianco allarga, altri colori influiscono sull’impressione che diamo agli altri; se siamo schivi e timidi tenderemo ad indossare abiti dai colori spenti (gonne verde opaco, giacche a quadrettoni marroni = abbigliamento da camaleonti, servono per mimetizzarsi con l’ambiente circostante); non a caso le persone che indossano abiti dai colori spenti sono quasi sempre le stesse che ad una festa si mettono nei posti isolati o in una tavolata si siedono agli angoli.
Alcune persone in soprappeso, indossano maglioni ampi per nascondere i chili di troppo; questo potrebbe avere un senso se si volesse nascondere una parte del corpo più grassa ma se si avesse nel complesso un fisico magro; un maglione abbondante indossato su un fisico abbondante non fa che farlo sembrare ancora più grosso.
Desmond Morris (etologo, 1977) fa rivelare che nel periodo dell’adolescenza le donne hanno uno sviluppo delle gambe di gran lunga maggiore rispetto agli uomini; la “gamba lunga” diventa così un tratto distintivo femminile. Le scarpe con il tacco, le cinture alte vengono utilizzate dalle donne proprio per accentuare la lunghezza delle gambe. La gonna a tubo costringe le ginocchia a stare vicine e quindi esalta la parte dei fianchi e del fondoschiena.
L’altezza maschile è un tratto che attrae l’altro sesso; di conseguenza l’uomo che mette le scarpe con un po’ di tacco per essere più alto è comprensibile, non altrettanto scontato è il fatto che uomini molto alti possano indossare calzature senza tacco per dare l’impressione di essere più bassi e quindi “nella norma”.
Le posizioni che assumiamo nello stare ritti, nel camminare, nello stare seduti, nell’appoggiarsi a un muro o ad un bancone sono un altro modo per modificare la percezione della nostra dimensione psicologica. Le adolescenti che vedono spuntare il seno o le donne che hanno un seno molto grande, spesso incurvano le spalle in avanti per “nascondere” questa caratteristica.
Tutti conoscono lo stereotipo dell’uomo di mezza età che, al passaggio di una bella ragazza, tira indietro la pancia e gonfia il petto.


POSIZIONE DELLE GAMBE. Valutiamo il modo in cui da fermi e in posizione eretta teniamo le gambe. Esistono due posture fondamentali delle gambe: divaricate o chiuse.
 Posa a gambe divaricate. Frequente in individui dominanti, vincenti, in posizione di potere, donne emancipate a volte mascoline. Comportamento che riflette uno status elevato. Perché? È la posizione che permetteva all’uomo “guerriero” di stare ben saldo al suolo per non cadere durante la caccia o i combattimenti. L’assunzione attuale di questa posizione sarebbe un’”eredità” di questa funzione. Un’altra spiegazione per questa postura, valida per le donne che la assumono, ha un riferimento più attuale; infatti solo in tempi recenti le donne hanno goduto di quell’indipendenza che prima era un appannaggio solo maschile. Quindi una donna che tiene le gambe larghe, inconsciamente, vuole rimarcare una posizione di “parità” con l’uomo in un certo modo “sfidandolo”.
Un’altra considerazione: la postura eretta a gambe divaricate è quella del maschio quando fa pipì; l’uomo in questa posizione ricorda la sua virilità e il suo essere dominante. Se è una donna a tenere questa posizione è come se dicesse: “non invidio il pene” (ricordiamo che già in antichità il pene era considerato il simbolo del potere maschile).
 Posa a gambe vicine o chiuse. Postura tipicamente femminile, perché mette in evidenza le curve. Un significato particolare hanno le gambe di una donna quando un ginocchio si sovrappone all’altro e le gambe sono ravvicinate: l’atto diventa un segnale di corteggiamento perché valorizza la linea dei fianchi.
Di valore diverso è l’atto di accostare le ginocchia divaricando le estremità delle gambe e portando la punta dei piedi verso l’interno (più spesso quando la donna è seduta e ancora più spesso negli adolescenti). Questo segnale ricalca la difficoltà a stare in piedi tipico dei cuccioli e serve a suscitare in chi la guarda sentimenti teneri e parentali o a segnalare, soprattutto se a farlo è un’adolescente, la sua condizione di bambina timida e inerme.


GAMBE E BRACCIA. POSIZIONE SEDUTA. L’impressione che diamo stando seduti viene modificata a seconda della posizione di gambe e braccia. Anche qui con diverse combinazioni avremo due principali modalità contrapposte: braccia e gambe possono essere tenute aperte o chiuse.
 Braccia aperte e gambe larghe. Posizione del “leader”: esporre queste regioni vulnerabili (ascelle = dalle quali si raggiunge facilmente il cuore, e genitali) significa essere molto sicuri di se. Inoltre tenere gambe e braccia aperte ci fa occupare uno spazio maggiore di quanto non avvenga quando le estremità sono vicine al corpo. A chi assume questa posizione viene più facilmente attribuita un’ampia dimensione psicologica; l’inconscio infatti valuta la dimensione psicologica di una persona come la quantità di spazio occupato.
 Chiudere o stringere braccia o gambe. La tendenza a mantenersi raccolti fa trapelare il desiderio di non essere notati, di non essere presi in considerazione. Questa posizione diminuisce la dimensione psicologica. Una posizione particolarmente raccolta può essere dovuta a timore, alla sensazione o alla constatazione di sentirsi colpiti (a parole); indice di una sorta di chiusura difensiva.
 Braccia larghe e gambe unite. Più esattamente braccia larghe e gambe allungate con incrocio delle caviglie (ma anche gambe larghe e mani in grembo); è la posizione di chi vuole mostrarsi dominante ma non lo è. Spesso (ma non sempre) questi segnali contraddistinguono un impostore o una persona che normalmente è dominante ma si trova in un ambiente in cui non è a proprio agio e così egli prova contemporaneamente i due impulsi opposti (= esibire il suo ruolo dominante; proteggersi perché si sente vulnerabile)
 Posture abituali. Spesso non appena viene meno l’autocontrollo assumiamo posture abituali, che vengono riprese automaticamente.

I MOVIMENTI NELLO SPAZIO. Un altro modo per ampliare o ridurre la propria dimensione psicologica è muoversi, soprattutto se l’ambiente dove ci troviamo è limitato (es. una stanza). È questo il motivo per cui i politici ad un ricevimento passano incessantemente da una persona all’altra e i conferenzieri di successo non parlano dietro una scrivania ma muovendosi tra il pubblico. In questo modo costoro vengono percepiti come capaci di occupare spazi molto ampi. I presentatori, i conferenzieri, gli attori fanno gesti più ampi e più numerosi di altre persone perché devono spiccare nettamente su uno sfondo ampio come un palcoscenico o una sala conferenze; più muovono il loro corpo e più stimolazioni forniscono, venendo percepiti di conseguenza in maniera più distinta e intensa.


Il territorio. Gli uomini, come gli animali, hanno un proprio territorio, lo circoscrivono, lo difendono e lo “conquistano” in ogni ambiente o situazione in cui si trovano. Noi abbiamo modi più sottili e civilizzati (a volte!) di delimitare il nostro spazio territoriale, ma il nostro comportamento non differisce di molto da quello degli animali.
 Perché abbiamo necessità di un territorio? Ci dà forza, sicurezza, intimità e stabilità. È noto che una squadra di calcio è più temibile se gioca in casa, il fatto di trovarsi sul proprio terreno la rende più tenace e, per contro, intimidisce l’avversario. Chi si reca in altre città per studio o lavoro cerca frequentemente un alloggio, non è solo comodità ma spesso è l’esigenza di sentirsi a “casa propria”, di rigenerarsi, di trovarsi in un ambiente sicuro e protetto. È quindi comprensibile il senso di precarietà dei senzatetto o dei terremotati o alluvionati. Ad ogni modo anche i barboni tendono a ricoverarsi sulla stessa panchina o collocano gli scatoloni nello stesso angolo di strada: è la necessità di un territorio.
 La marcatura dello spazio. Spesso su pali, cortecce di alberi, tavolini dei bar, banchi di scuola, porte delle toilette si trovano scritte, nomi, graffiti… si tratta di un bisogno ancestrale (e di cattiva educazione); queste persone non resistono all’impulso inconscio di affermare la loro proprietà (questo è mio). Naturalmente esistono anche modi più civili e socialmente accettabili di delimitare il territorio: si erigono muretti, si recingono i terreni, si mette il nome sul campanello della porta. Il senso del possesso del territorio è forte in noi e lo possiamo notare quando qualcuno tocca le nostre cose o si siede sulla nostra poltrona o entra in giardino. All’interno della nostra abitazione abbiamo spazi più o meno personali; spesso tendiamo a non fare entrare nessuno in camera da letto a meno che non sia molto vicino a noi.
Gli adolescenti spesso “marcano” la propria stanza attaccando poster, adesivi, fissando striscioni; a volte anche lasciare i propri indumenti sulle sedie o sul letto può avere a che fare con la definizione del proprio territorio. Secondo Morris D. (1977 – “L’uomo e i suoi gesti”) la camera da letto è la parte del territorio di casa “più nostra” perché è il luogo in cui mediamente trascorriamo più tempo, impregnandola del nostro odore più degli altri ambienti.
 La difesa. Anche all’interno di un ambiente poniamo delle barriere (rappresentate dall’arredamento) che definiscono i limiti del nostro territorio (scrivania, bancone, cattedra). Un insegante che quando spiega si muova nell’ambiente o rimanga arroccato in cattedra comunica rispettivamente una maggiore o minore apertura e disponibilità. Un professionista dietro ad una scrivania può, attraverso i movimenti del suo corpo, mitigare o ampliare il senso di distanza trasmesso dal tavolo; se si appoggia allo schienale si allontana di più. Avvicinando invece il busto al bordo della scrivania diminuisce l’impressione del distacco e mostra maggiore partecipazione. Alcuni psicologi adottano setting privi di scrivania, scegliendo di condurre la seduta su due poltrone poste una di fronte all’altra. Rimuovere una barriera fisica, però, non significa essere completamente disponibili, il nostro corpo può cosituire un ostacolo. Possiamo attestare un possesso territoriale appoggiandoci, e quindi toccando oggetti o arredi di nostra proprietà; spesso ci comportiamo in questo modo quando c’è la minaccia di “un’invasione”. Se ci appoggiamo alla porta appoggiandoci agli stipiti (sbarrando il passo) probabilmente non gradiamo che la persona che ha bussato entri in casa; un negoziante che, alla visita di un rappresentante, appoggia le braccia sul bancone e tenda il busto in avanti è in posizione di sfida, probabilmente lo trova invadente. Toccare significa possedere, ci sono persone che, dopo l’acquisto dell’auto nuova, si fanno fotografare con la mano appoggiata alla carrozzeria.
 La conquista. Il bisogno di possedere un territorio ci caratterizza ovunque siamo; per esempio, se ci troviamo su un treno non entriamo nel primo scompartimento che capita, ma proseguiamo nella ricerca di uno libero. Un modo comune per delimitare il territorio in una sala d’attesa, su un autobus, ecc, è mettere tra se e l’altro o sul posto a fianco al nostro un libro, la borsetta, ecc. Se invece siamo seduti su un divano possiamo scostare le braccia dal corpo, appoggiandole qualche decina di centimetri più in là: la zona circoscritta dalla posizione delle nostre mani segnala il nostro territorio. Una spiaggia o un prato possono diventare un luogo di spartizione dei lotti. Osservando la disposizione delle stuoie, lettini o asciugamani possiamo valutare il tipo di rapporto che c’è tra gli individui. Oltre i 3 metri si collocano gli sconosciuti, fra i 3 metri e il metro e 25, conoscenza abbozzata o formale. Tra il metro e 25 e i 40 centimetri possiamo ritenere che gli individui siano buoni amici. Se stuoie o lettini sono accostati abbiamo a che fare con ottimi amici, con partner o parenti (quanto appena detto vale se l’area non è super affollata). La biblioteca è un altro di quei posti dove fissiamo i limiti del nostro territorio per esempio utilizzando le sedie per appoggiare borse e giacche anziché appenderle. Il tavolino del bar è spesso terreno di contesa territoriale; in genere due persone dividono il tavolo in due settori e pongono bicchieri, tazze, pacchetti di sigarette o portachiavi in modo tale da formare una sorta di perimetro che delimita i confini del territorio. Se una persona mette il suo bicchiere sull’angolo del tavolino, significa che ha limitate pretese territoriali, il che va interpretato come indice di una personalità schiva, timida e, in un certo senso, rinunziataria. La scelta dei posti a sedere è anche influenzata dal calore residuo che la persona lascia sulla sedia che ha occupato. La maggior parte delle persone prova forte avversione e disgusto nei confronti di una temperatura non familiare; per contro è esperienza gradevole trovare il letto caldo se scaldato dal partner o, nei bimbi, dalla mamma (Hall, 1968). Al contrario qualcuno può disporre oggetti su tutta la superficie del tavolo come se lo spazio fosse tutto a sua disposizione: si tratta di individui invadenti e soffocanti, che tendono a prevaricare sull’altro e a non lasciargli letteralmente spazio.

Le distanze. Quando ci troviamo con altri cerchiamo di mantenere una distanza che rappresenti il punto di equilibrio tra il desiderio di mantenere la vicinanza e quello di evitare il contatto (Argyle e Dean, 1965; Argyle e Cook, 1976). Acquisiamo fin da piccoli un codice che regola la distanza interpersonale: impariamo a non stare troppo vicino agli altri e apprendiamo come modificare altri parametri non verbali, quando la distanza tra noi e il nostro interlocutore subisce variazioni. Sembra quasi una danza; è come se fossimo circondati da una bolla di sapone, nel momento in cui l’altro si avvicina comprime la bolla e noi avvertiamo un senso di pressione, che ci spinge un po’ più lontano. Quindi estendiamo, come con gli abiti o gli oggetti, la nostra sensibilità ad un perimetro invisibile che ci circonda.
Questo perimetro è definito “spazio prossemico” e ha contemporaneamente due radici: una innata che trae origine dalla nostra appartenenza al regno animale e l’altra culturale che dipende dall’ambiente in cui viviamo (Hall, 1963 e 1968).
 Gli animali. Dispongono di 4 tipi di distanza (E.T. Hall) che regolano i rapporti tra individui della stessa specie o di specie diverse:
1. distanza di fuga
2. distanza di attacco
3. distanza personale
4. distanza sociale
Le prime due sono attive tra specie diverse, le restanti hanno significato all’interno della stesse specie e dello stesso branco.
 L’uomo. Per la specie umana alcune distanze si sono pressoché “atrofizzate” o solitamente non hanno modo di essere sperimentate. Per noi esistono 4 distanze o “zone interpersonali”:
1. distanza intima
2. distanza personale
3. distanza sociale
4. distanza pubblica
Il fatto di vivere in società e di differenziare ruoli diversi all’interno di questa ha portato però l’uomo a diversificare e ampliare la dimensione e i comportamenti della sfera personale. Ogni distanza, a propria volta, ha una fase di lontananza.
 La zona intima. Va da 0 centimetri (contatto fisico) a 40 centimetri. È lo spazio che contrassegna i rapporti intimi; possiamo percepire il calore dell’altro, il suo odore, le variazioni emotive più sottili. Entro questo spazio (sia per ridurre la tensione indotta dalla distanza ravvicinata, sia per contrassegnare l’intimità della situazione) il comportamento è caratterizzato da: voce più bassa (sia per il tono che per il volume, le gesticolazioni sono pressoché assenti, gli sguardi fortemente ridotti, gli argomenti di conversazione sono più personali e delicati (Argyle e Dean, 1965; Cappella, 1981).
 La zona personale. Si situa tra i 40 e i 120 cm. È una distanza che ha un estremo ai confini con la zona intima e l’altro ai margini della zona sociale. Quanto più ci si avvicina alla zona intima tanto maggiore sarà la confidenza tra chi interagisce; la distanza personale è quella che mantengono gli amici. Le interazioni con amici e conoscenti (nella nostra cultura) avvengono di norma attorno ai 70 centimetri una distanza tale che permette di ritirarsi nel caso l’altro si faccia troppo insistente e fastidioso, ma che sottolinea altresì l’informalità e la gradevolezza della relazione. In questa zona: aumentano gli sguardi reciproci, i gesti fanno la loro comparsa ma sono contenuti, la voce ha tono e volume medi, l’odore e il calore dell’altro diventano più rarefatti e al limite esterno di questa zona non riescono più ad essere percepiti. Questo spazio tra se e l’altro può essere indice di attrazione; una riduzione della distanza interpersonale che induca due interlocutori ad avvicinarsi (a penetrare nelle reciproche sfere personali) accompagna il momento in cui la discussione si fa accesa, appassionata, coinvolgente. La riduzione di questa distanza può diventare un segnale di minaccia, soprattutto se accompagnata da un volume di voce più forte e da un tono più duro, che segnala l’impulso ad aggredire l’altro. Il passaggio dalla zona personale a quella intima è, generalmente, indice di un rapporto stretto tra le due persone; quando però queste ultime camminano fianco a fianco distanti poco più di mezzo metro questo non va necessariamente inteso come segnale di un rapporto. La posizione fianco a fianco, è vissuta come la meno minacciosa e, quindi, è quella a cui si acconsente all’altro di avvicinarsi di più.
 La distanza sociale. Tra il metro e 20 e i 2 metri. È lo spazio che viene mantenuto tra persone sconosciute, con cui si intende mantenere la distanza e nelle relazioni molto formali (es. ufficio aperto al pubblico).
 La distanza pubblica. Oltre i 2 metri. Le persone che si collocano in questa zona non sono in genere vissute come entità. La temperatura è uno dei fattori che maggiormente influenzano la percezione della distanza pubblica, in particolare nei casi di affollamento. La sensazione di trovarsi in un ambiente affollato è direttamente proporzionale all’aumento di temperatura; in poche parole più fa caldo e meno sopportiamo la vicinanza delle altre persone (pensiamo a quanto sia fastidioso toccare anche solo un braccio o una gamba del nostro partner se siamo al mare sotto al sole cocente, contatto altrimenti gradevole, Hall 1968). Purtroppo l’affollamento dei mezzi pubblici è una realtà con la quale dobbiamo convivere quotidianamente. Come si reagisce quando si sale su un autobus assiepato?
* eseguiamo mille contorsioni per evitare di toccare ed essere toccati
* se l’ambiente è talemente affollato da non potere evitare il contatto irrigidiamo il nostro corpo in modo da potere ridurre al minimo la superficie di contatto
* se tutto ciò non è ancora sufficiente ci proteggiamo con uno schermo psicologico che ci porta a considerare l’altro come un oggetto inanimato o parte dell’arredamento, né più né meno di un sedile o di un passamano (D. Morris 1977).
 L’influenza dell’ambiente culturale. Secondo E. T. Hall esistono due tipi di culture: quella “del contatto” e quella del “non contatto”, a seconda che si viva in uno di questi due ambiti prevarrà un’inclinazione alla vicinanza o alla lontananza. La nostra come quella americana o tedesca è una cultura del “non contatto”. Nel mondo occidentale la cultura che esprime in maniera più marcata il valore del “non contatto” è quella anglosassone (distanza personale: 2 metri); all’estremo opposto nella cultura araba lo spazio personale praticamente non esiste, sconfinando nel contatto con l’altro.
 Le differenze tra uomini e donne. La “bolla” che rappresenta il nostro confine invisibile è sferica per le donne mentre per gli uomini assomiglia a un uovo. Gli uomini tendono ad avere una bolla interpersonale più grande e a mantenere la stessa distanza sia con individui dello stesso sesso sia con le donne. Le donne tendono a stare più vicine alle altre persone e la distanza sarà ancora minore se l’interazione avviene con un’altra donna (Leibman, 1970). Un’altra differenza tra uomini e donne sta nel modo con cui ci si avvicina a qualcuno. Le donne preferiscono avvicinare gli altri di fronte, i maschi tendono a porsi di lato. Una donna mostra maggiore fastidio se qualcuno si siede al suo fianco (es. in biblioteca) e meno se le si accomoda di fronte). Per l’uomo è l’opposto, se qualcuno si siede di lato quasi non lo nota mentre è infastidito se si pone davanti o alle spalle (Fisher e Byrne, 1975).
 Il carattere, la posizione sociale e lo stato d’animo. La distanza a cui ci lasciamo avvicinare è in relazione anche al nostro umore, alla nostra personalità e alla nostra posizione sociale. Se siamo felici ci lasceremo avvicinare più di quanto solitamente saremmo soliti tollerare; se invece siamo di umor nero ci irrita qualsiasi avvicinamento anche ad una distanza superiore al limite esterno della nostra zona personale. Se qualcuno ci fa arrabbiare facilmente invaderemo il suo spazio personale; però se la nostra aggressività è inibita o se non possiamo manifestarla apertamente tenderemo a prendere le distanze (comportamento che serve a tenere sotto controllo il rancore oppure a comunicare all’altro che vogliamo evitarlo; Meisels e Carter, 1970). È tipico che quando due partner litigano uno si tenga a distanza per punire l’altro negandogli il proprio contatto. Chi è ansioso tende a tenersi vicino ai propri interlocutori (bisogno di sentirsi accettato); in questi casi chi subisce la violazione del proprio spazio tende a ripristinare le distanze facendo un passo indietro; la “danza” prosegue fino a che l’altro si addossa ad una parete e manifesta segni di stizza. Anche l’introversione e l’estroversione influenzano sia la distanza alla quale si accetta di essere avvicinati o la tendenza ad avvicinarsi (gli estroversi violano e lasciano violare le distanze con maggiore disinvoltura). Lo status incide a sua volta nel determinare i confini dello spazio interpersonale e la frequenza e la profondità delle violazioni (es. il capo viola più frequentemente lo spazio dei collaboratori e la distanza a cui si avvicina è inferiore alla media. Questo modo di regolare la distanza prossemica serve al capo per attestare e riaffermare la posizione di superiorità).
Fonti
- Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio, Zanichelli, Bologna 1978
- Birkenbihl V.F., Segnali del corpo, Angeli, Milano 1998
- Hall E.T., La dimensione nascosta, Bompiani, Milano 1968
- Nanetti F., La comunicazione trascurata, Armando, Roma 1996

 
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